E' curioso come un illustratore, a volte, si ritrovi a disegnare benissimo per lavoro, nel senso che le sue capacità organizzative e tecniche non vengono intaccate da nulla e quindi egli può procedere tranquillamente su quella strada, mentre invece, per sé, non riesca a portare su carta un bel niente.
E la questione non sta tanto nel visualizzare, che invece riesce benissimo, quanto proprio nel non avere voglia di prendere la matita e consumarla sul foglio.
E' curioso, dicevo, perché spesso invece il disegno aiuta a "tirare fuori" e quindi a raccontare a se stessi quella parte nascosta che altrimenti, forse, non riuscirebbe a parlare, ma non sempre va così.
O almeno, non per me.
In questo periodo la mia mente è già satura d'immagini oniriche da decifrare e di altre professionali da colorare e forse ,chissà, ne ha già abbastanza. Fatto sta che ora è come se avessi necessità di parole e così preferisco leggere e scrivere, immaginare e dare vita con le parole.
Un'altra cosa che che amo molto è cucire, altro modo per creare, e mi stupisco di quanto questa attività vada e torni nella mia vita a periodi alterni.
Non cucio per lavoro ma solo per passione, perché mi piace capire come arrivare a certi risultati, perché trovo bello maneggiare la stoffa e perchè creare qualcosa dal niente mi regala fiducia e gioia.
Credo che nessuno mi abbia mai insegnato veramente a cucire.
Ho imparato da sola studiando qui e là, smontando vestiti per capire come erano stati fatti o com'era stata tagliata la stoffa per giungere infine ad un certo effetto. Se ci penso bene però, dev'essere stata la mia (adorata) nonna materna ad insegnarmi come tenere un ago in mano, quando avevo circa 10 anni ed i vestiti delle mie bambole non erano mai come li volevo io.
Erano fatti di quelle stoffe sintetiche e pizzi che detestavo, perché erano tutti "da principessa" mentre la mia Barbie viveva in campagna (le Dolomiti estive della nonna erano per me campagna) e quindi nella mia mente necessitava di abiti adatti, realizzati in cotone a fiorellini piccolissimi e magari anche con un piccolo grembiule come quello in cui la nonna raccoglieva le tegoline (in italiano penso di dica "fagiolini" ma tegoline è dialetto cadorino ed a me è rimasto dentro così).
Perciò la nonna si sedeva vicino a me sugli scalini dell'orto, al sole, e con infinita pazienza tagliava e cuciva abiti, piccolissimi ma perfetti, con minute pinces e bottoni nelle gonne o nei bustini, affinchè sembrassero veri.
E lo erano eccome.
A fine giornata la mia Barbie aveva uno splendido abito estivo con corpetto e gonna che la vestivano come fosse una meravigliosa donna in miniatura pronta per andare al mercato con il suo cestino.
Credo sia stata quella fascinazione a trasmettermi la voglia d'imparare, nel tempo, a creare con la stoffa e a sperimentare abiti anche per me, dalle gonne estive ai due medievali che dormono nell'armadio.
A dire il vero il secondo non è terminato, perché le maniche mi creano indecisione, ma quando lo sarà ve lo mostrerò.
Intanto vi lascio qualcosa realizzato in questi giorni e v'invito ad andare sullo shop (qui) per sbirciare tutte le altre foto, anche quelle del w.i.p.
E' una borsetta in cotone, per salutare la Primavera in arrivo, e come tutte le altre è un modello unico perché non lo ripeterò.
Volendo, potrei pensare ad a una pochette abbinata. Vedremo.
Infine, siccome di parole non sono ancora sazia, lascio qui anche ciò che è uscito dalla mia mente stamattina mentre terminavo di cucire.
Penso sia merito del Vento di Primavera, quello che mi s'infila nel cuore e nelle mani anche se non disegno.
Perché la creatività non si ferma mai.
Abbraccio grande, buona lettura e Buon Vento a tutti :)
"Da settimane Einon si aggirava per i boschi nel tentativo di riportarvi la quiete.
Qualcosa nell'oscuro fondo della Terra gemeva e singhiozzava con un lamento che straziava il cuore del Druido rendendo agitati il suo sonno e la sua pace.
Amava talmente quella Foresta da dedicarvisi con la più profonda cura da lui conosciuta e, pur consapevole del cammino che ancora lo attendeva lungo la Via e ben conscio delle difficoltà, si prefiggeva di esplorarne tutti gli anfratti, anche i più cupi, con l'intento di illuminarli e sanarli.
Così ne percorreva ogni giorno un tratto, ora rilasciando un incantesimo azzurro per scorgerne le ferite nascoste alla vista, ora pronunciando lievi parole di cura poggiando la mano sul terreno laddove apparisse scorticato.
A volte si fermava ad una fonte e ne ascoltava il gorgoglio poiché, avendo attraversato la Terra, l'Acqua parlava ad Einon delle sue profondità e gli indicava la via più breve per giungere al prossimo nodo, al prossimo punto in cui intonare un canto affinché l'Aria lo trasportasse più velocemente attraverso gli alberi, curandone in tal modo le nuove gemme.
Prima di andare, però, egli lasciava cadere nella fonte alcune gocce di un distillato color dell'ambra, preparato notti prima al chiarore della Luna, e chiedendo all'Acqua di farlo penetrare nel terreno a fondo, laggiù dove lui non sarebbe potuto arrivare altrimenti.
Infine ringraziava e ripartiva, anche facendosi spazio fra i rovi e percorrendo a piedi tutta la strada possibile fino al calar della sera.
Quando infine giungeva in una radura spoglia e desolata vi realizzava un piccolo cerchio di pietre, all'interno del quale deponeva involti di foglie scure e resine, invocando il Fuoco affinché restituisse alla Terra la cenere della vita e poi, dopo aver nuovamente donato alla Foresta tutto ciò che poteva, si sedeva a guardare la Stella Polare chiedendo consiglio.
Spesso cadeva sfinito in un sonno popolato da sogni talmente vividi da infondere in lui rinnovata energia.
Alcuni parevano incubi terribili, altri invece enigmi, entrambi lì per lì indecifrabili ma che si chiarivano nei giorni a venire, quando un altro tratto di bosco veniva risanato dal suo tocco e dalle sue parole. Tutti si rivelavano ad Einon come un messaggio di speranza e recavano indistintamente il medesimo bellissimo suono, ovvero lo scrosciare delle onde che accompagnavano il canto di sua madre quando, da bambino, lo cullava per guarirgli le fitte al petto che tanto gli bruciavano la pelle.
Spesso cadeva sfinito in un sonno popolato da sogni talmente vividi da infondere in lui rinnovata energia.
Alcuni parevano incubi terribili, altri invece enigmi, entrambi lì per lì indecifrabili ma che si chiarivano nei giorni a venire, quando un altro tratto di bosco veniva risanato dal suo tocco e dalle sue parole. Tutti si rivelavano ad Einon come un messaggio di speranza e recavano indistintamente il medesimo bellissimo suono, ovvero lo scrosciare delle onde che accompagnavano il canto di sua madre quando, da bambino, lo cullava per guarirgli le fitte al petto che tanto gli bruciavano la pelle.
Al risveglio, ristorato dalla sua stessa mente, Einon si rimetteva in cammino setacciando il bosco, curandolo nuovamente come meglio sapeva fare e con la certezza che prima o dopo, nel suo girovagare, avrebbe trovato il punto esatto nel quale convogliare tutta la sua magia.
E così realmente fu, in un giorno di Marzo, proprio al limitare con la montagna, dove scorreva vivace un torrente ed il bosco si faceva più fitto ed intricato.
Mentre si trascinava stanco poggiandosi al suo bastone di quercia, Einon scorse una capanna e fatti pochi passi poggiò la mano sulla porta per aprirla piano.
Qualcuno doveva aver abbandonato il posto da tempo poiché la polvere e le ragnatele coprivano tutto come un mantello d'ocra gialla, ed Einon quasi tratteneva il respiro per non disturbarne il sonno.
Dietro di lui, però, entrò anche un giovane refolo di Vento, il quale, con l'irruenza della Primavera, scompigliò le ragnatele e sollevò la polvere, mostrando in un attimo tutta la vera essenza del luogo.
Quella capanna era un'antica forgia in disuso.
Ecco, Einon aveva finalmente trovato il cuore nel quale tornare a creare e sperimentare tutto ciò che avrebbe risanato l'intera Foresta.
Ora non restava che riattivarlo abitandolo di nuovo."
Ora non restava che riattivarlo abitandolo di nuovo."
-dalle Cronache di Einon, passo III - la Terra è in me, io sono la Terra-
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